Sorto nel 1993 nell’ambito del Progetto Biodiversità, in un’epoca in cui persino nominare il misterioso Felino poteva apparire un’eresia, il Gruppo Lince Italia ha raccolto da oltre un decennio le migliori energie di quanti davvero volevano conoscere la verità su questo magnifico animale.
Pur avendo creato una Equipe mobile ben preparata ed attrezzata, e raggiunto in breve risultati considerevoli, il Gruppo ha dovuto sempre fronteggiare omertà e diffidenze: e non pochi circoli accademici hanno tentato più volte di emarginarlo, mentre saccheggiavano a piene mani le preziose notizie faticosamente raccolte dai suoi componenti. Per di più hanno mirato a screditarlo, diffondendo con singolare accanimento la voce, mai confermata da alcun riscontro obiettivo, che la Lince appenninica sarebbe stata il frutto di non meglio individuati “rilasci clandestini” avvenuti nella Marsica (sic!).
Dopo un triennio di difficoltà contingenti, dovute alla drammatica crisi del Parco Nazionale d’Abruzzo presso il quale operava, il Gruppo si è riorganizzato nel Centro Studi-Comitato Parchi di Civitella Alfedena, e sta ora riprendendo la propria attività con forza, chiarezza e determinazione. Ha già raccolto una cospicua documentazione storica, nonché circa un migliaio di segnalazioni attuali e recenti per l’Appennino (prevalentemente centrale, ma anche meridionale e settentrionale). Tutti elementi ritenuti attendibili, o comunque molto interessanti.
Si ripromette di appoggiare studi, ricerche, tesi e pubblicazioni sull’argomento, e di favorire il completamento del Centro Lince nel villaggiopilota del Parco, incoraggiando anche la creazione di analoghi Centri nel Mezzogiorno d’Italia, anzitutto al Pollino e in Aspromonte.
Ha presentato una nota ufficiale al Convegno di Internazionale sulla Fauna Euromediterranea tenuto ad Ischia dal 24 – 28 maggio 2003 e sta ora approfondendo le indagini sulle popolazioni meridionali di Lince, non soltanto in Italia. Di tali popolazioni estreme, analizza con attenzione la validità della sottospecie italiana (apennina) e balcanica (martinoi), mentre ricerca elementi probatori più precisi, antichi o recenti, sul nucleo relitto segnalato del Peloponneso. Non ritiene invece accettabili le distinzioni infrasubspecifiche proposte per la zona delle Alpi.
Il prossimo impegno del Gruppo Lince Italia consisterà nella raccolta, divulgazione e pubblicazione degli Atti del fondamentale Seminario Internazionale “Il ritorno del Lupo cerviero” tenuto con grande successo e partecipazione al Parco Nazionale d’Abruzzo (Pescasseroli) il 1° giugno 1991.
LA LINCE APPENNINICA, UN ALTRO FELINO MISTERIOSO
La presenza della Lince in Italia, non solo nelle Alpi occidentali ed orientali, ma anche nell’Appennino (soprattutto centrale) è ormai ampiamente comprovata e non può essere posta seriamente in discussione.
Mentre però alcuni studiosi tendono a considerarla frutto delle reintroduzioni operate con successo al di là delle Alpi (Francia, Svizzera, ex Jugoslavia) – ciò che non spiegherebbe comunque le presenze appenniniche – è assai probabile che in realtà nuclei relitti assai ridotti di tale felino, a comportamento spiccatamente criptico, abbiano potuto conservarsi in alcune zone montane particolarmente remote e segregate, tanto delle Alpi occidentali ed orientali, che dell’Appennino. Una importante monografia del Consiglio Nazionale delle Ricerche pubblicata nel 1981 ha ignorato completamente questa specie, escludendola dalla fauna italiana: è assai verosimile invece che, all’epoca, la Lince fosse presente, sia pure in numero piuttosto ridotto, nel nostro Paese.
Attualmente esistono prove molteplici, sicure e concordanti dell’esistenza della Lince nel Parco Nazionale d’Abruzzo, dove la sua consistenza viene stimata a 2-3 coppie, mentre indizi significativi emergono da altre zone dell’Appennino centrale, e in parte meridionale; e più recentemente persino dall’Appennino settentrionale. Benché ovviamente non possano escludersi ipotesi di immissioni o liberazioni clandestine ad opera di ignoti, la situazione obiettiva – esemplari perfettamente selvatici, elusivi, abituati al territorio e legati a zone particolari, in molti casi le stesse dove la loro presenza è stata storicamente riferita per decenni – fa propendere nettamente per la spiegazione più ragionevole e suggestiva: vale a dire l’effettiva sopravvivenza di piccoli nuclei relitti originari, oggi ampiamente favoriti dalla accresciuta salvaguardia ambientale e dalla aumentata disponibilità di prede. Anche la creazione di Aree faunistiche della Lince nel Parco (3 al momento attuale) ha svolto certamente un ruolo di potente catalizzatore, mentre spetterà agli studiosi approfondire seriamente (e non soltanto anedotticamente) le caratteristiche morfologiche, genetiche, etologiche ed ecologiche di questa preziosa popolazione, presumibilmente autoctona e già da tempo individuata dal Gruppo Lince Italia come apennina: con elementi che vennero sinteticamente tracciati fin dall’anno 1999, quali le dimensioni minori, la pelliccia meno folta e più maculata, talune peculiarità anatomiche, l’ecologia differenziata e il comportamento più elusivo, frutto dell’adattamento ad ambienti e climi sensibilmente diversi. Elementi tutti che dovettero essere diffusi preliminarmente in sede internazionale, soprattutto nell’ambito criptozoologico, anche per il pregiudiziale rifiuto, la palese chiusura e la evidente intrattabilità di certi ambienti accademici italiani.
La storia della Lince in Italia, e in special modo in Abruzzo, è avvolta nel mistero. Sul suo passato, e sullo stesso presente, si afferma tutto e il contrario di tutto: dove viveva un tempo? E’ tornata, sì, ma come? E potrà restare, sopravvivere, espandersi? Hanno davvero ragione quanti insistono nell’affermare che la Lince non c’era mai stata nell’Appennino, e che qualcuno forse ha voluto riportarla qui clandestinamente?
Una strana vicenda, un vero“giallo”, forse. Ma, assai più probabilmente, un’altra “commedia all’italiana”. E’ una vicenda storica, scientifica, naturalistica ed anche culturale ed umana che meriterebbe d’essere narrata in ogni particolare.
Per ora, tuttavia, limitiamoci ad anticiparne qualche sommario dettaglio. Iniziando da quanto affermava su questo splendido gattone il più autorevole studioso del secolo scorso, il francese Louis Lavauden, che nel 1930 pubblicò la più completa monografia sulla Lince: “Ebbene, questo animale è stato, al contrario, completamente misconosciuto. Esso è rimasto, per così dire, completamente ignorato dalle popolazioni che hanno vissuto a contatto con esso, né ha lasciato alcuna traccia nel folklore delle nostre provincie montane. La sua scomparsa totale ed antica dal nostro territorio è stata affermata con singolare tenacia: e gli zoologi più illustri hanno scritto, sulla lince, delle autentiche enormità.”
Per i trattati ufficiali la Lince scompare dal nostro Paese all’inizio del secolo scorso. Ma, attenzione, ci si riferisce di solito soltanto alle Alpi, compreso il Parco Nazionale del Gran Paradiso, di cui si conoscono e conservano diversi esemplari impagliati. Scendendo verso l’Appennino, per non dire nel Mezzogiorno, si piomba nella nebbia sempre più fitta, e poi si precipita nel buio. Nel senso che qualche notizia affiora qua e là, ma le tradizioni venatorie meno evolute non restituiscono prove materiali certe: del resto molte raccolte naturalistiche sono andate distrutte, e ben pochi se ne sono mai occupati così a fondo come l’argomento meritava. Gli zoologi più autorevoli e competenti, quindi, pongono sulla questione il punto finale: la Lince, probabilmente, non è mai esistita (in epoca storica recente) sull’Appennino, e tutte le numerose segnalazioni si riferiscono, piuttosto, al Gatto selvatico. Ad affermarlo è dapprima Alessandro Ghigi nel 1911 e nel 1917, ma poi Augusto Toschi ribadisce questo concetto nel 1968. E nessuno zoologo professionista italiano si occuperà più della questione, se non per liquidarla con una scrollatina di spalle… E invece non è proprio così. Ancora una volta, la realtà supera le nostre tanto vantate conoscenze scientifiche ufficiali, perché la presenza della Lince, sia passata che recente, risulta ormai certissima in Abruzzo, ma assai probabile anche in molte altre regioni, così dell’Appennino settentrionale come di quello meridionale.
Nel Mezzogiorno, occorrerà indagare a fondo nei selvaggi Monti di Orsomarso, nel Pollino compreso il suo versante jonico, nella Sila e nell’Aspromonte, ed anche nelle Serre e nella Catena Costiera. Perché è proprio da questi territori che sono pervenute alcune delle ultime segnalazioni più interessanti, e più che alle certezze delle classiche ricerche accademiche, converrà affidarsi alle raffinatissime metodologie della Critozoologia, la scienza misconosciuta che studia gli animali più misteriosi e meno noti.
In nome di un’ elementare verità più volte affermata: “L’assenza di prova non è prova di assenza”… Specialmente nel caso d’un Felino enigmatico come la Lince appenninica.
Franco TASSI
❋ Estratto da GRANDE FAUNA APPENNINICA, Rivista “D’Abruzzo”, n. 30, Estate 1995, Pescara.
APENNINE LYNX, ANOTHER MISTERY CAT
In Italy, the presence of the Lynx in the western and eastern Alps as well as in the Apennines (mostly central) has by now been widely demonstrated and cannot be seriously disputed. However, while some experts tend to consider it as a result of the re-introduction carried on successfully beyond the Alps (France, Switzerland, former Yugoslavia) – a fact which would not anyway explain its presence in the Apennines – it is likely that vestigial nuclei of this feline, which has a remarkably secretive behaviour, were able to survive in mountain areas, which were particularly remote and segregated, both in the western and eastern Alps and the Apennines. An important study published in 1981 by the National Research Council completely ignored this species, excluding it from Italian fauna. Instead, it is on the other hand plausible that the Lynx was present at the time in this country, albeit in a quite small number. There are multiple, much certain and coherent proof of the present existence of the Lynx in the Park, with an estimated 2-3 pairs, while significant evidence emerges from other central and partly southern Apennine areas. Although one cannot obviously exclude the hypothesis of clandestine immission or liberation by unknown persons, the objective situation – perfectly wild, elusive specimens, used to the territory and linked to particular zones, often the same ones where their presence had been historically observed for various decades – inclines us towards the most reasonable and plausible explanation: that is to say the actual survival of small original vestigial nuclei, greatly favoured today by the improved environment protection and the increasing availability of prey. The creation Wildlife Areas for the Lynx in the Park (there are three at present) has certainly played a role as a powerful “catalyst”, while the renewal and intensification of observation and research conducted by the Italian Lynx Group confirms the accuracy of the data already acquired on the subject. Future safeguard targets strive to consolidate the strategy adopted by the Park up to now, obviously excluding any hypothesis of re- ntroduction from outside due to the extreme importance of this population, presumably autochthonous, the morphological, genetic, ethological and ecological characteristics of which deserve to be seriously studied in depth.
❋ Reprint from BIG APENNINE FAUNA, Rivista “D’Abruzzo”, n. 30, Estate 1995, Pescara.