Le tipografie diventano sempre più ecologiche

Le tipografie diventano sempre più ecologiche perchè sono in molte ad aver deciso di utilizzare carta ecologica nella realizzazione dei propri stampati, e ovviamente quando parliamo di tipografie, ci rivolgiamo anche e soprattutto alle tipografie online come Stampaleader.

Sempre più tipografie utilizzano carte sbiancate senza uso del cloro e carte riciclate in cui la materia prima non è il legno, ma la carta da macero ottenuta attraverso la raccolta differenziata. Da poco tempo, esiste sul mercato anche una carta ottenuta al 100% da fibre di recupero, che utilizza poca acqua ed energia e, soprattutto, non fa ricorso a inquinanti e costosi processi di decolorazione o sbiancamento.

Si tratta di una vera carta ecologica che presenta un’ottima consistenza e un’eccellente resa dei colori in fase di stampa. Il significato di tutto questo è che le tipografie sono in grado di offrire la qualità di sempre, ma con maggior consapevolezza.

 

Perchè stampare su carta ecologica?

La stampa su carta ecologica è ideale per la pubblicità green di tutte le aziende ed è una soluzione ecologica proposta oggi dalle migliori tipografie dal momento che anche in piena epoca digitale, la pubblicità su carta resta uno strumento indispensabile per farsi conoscere ed aumentare la visibilità della propria azienda e del proprio brand, soprattutto per restare competitivi. Non sono solo quindi solo le aziende a mostrare sensibilità nei confronti dell’ambiente ma anche le tipografie che propongono soluzioni di stampa su carta ecologica.

 

Perchè i biglietti da visita green sono i più richiesti?

I bigliettini da visita green sono i più richiesti perchè svolgono più funzioni, infatti oltre a contenere le informazioni sui contatti dell’azienda, sono anche in grado di conferire un’immagine sensibile dell’azienda sul tema dell’ecologia ed offrono quindi un valore aggiunto. Scegliere un biglietto da visita stampato su carta ecologica significa mettere l’attenzione per la tematica ambientale ai primi posti della propria mission aziendale e comunicare questa volontà anche al cliente in modo tangibile, non solo nelle parole ma con i fatti. Se viene vista come una presa di posizione responsabile, può essere anche considerata condivisibile da tutti, dimostrando di ripagare in termini di risposta dei clienti. Ovviamente oltre ai biglietti da visita, che sono e rappresentano un primissimo impatto positivo per tutte le aziende, le attività ed i prodotti, le tipografie hanno introdotto tantissimi altri prodotti che vengono stampati con la carta riciclata inclusi i gadget che le aziende offrono a tutti i loro clienti. La scelta della materia prima e la qualità della stampa sono fondamentali per assicurare durata ai prodotti su stampa riciclata. In linea di massima infatti la carta riciclata tende ad ingiallire più velocemente per effetto della lignina, di contro però, è stato anche dimostrato che la carta riciclata di qualità può durare oltre 100 anni.

Qual’è il messaggio delle tipografie ecologiche ai clienti?

Il messaggio delle tipografie ecologiche ai clienti è quello di adottare una stampa responsabile, offrendo a tutti la possibilità di ottenere e realizzare strumenti di comunicazione a basso impatto ambientale come fanno i leader di mercato di HP, senza pregiudicare la qualità di stampa e senza nessun rincaro dei costi di stampa.

Alimenti per il cane

cibo_per_caniL’alimentazione è un aspetto importante per la vita di ogni essere vivente. Averne cura, e nutrirsi con i giusti prodotti va a migliorare la salute del corpo, così per l’uomo, ma lo stesso vale anche per i nostri amici cani. Questi animali si nutrono principalmente di alimenti secchi e di altri umidi, che troverai in vendita nei negozi per animali, siano essi fisici che online.

Da Miscota troverai tutti gli alimenti per il cane online. I cuccioli, ad esempio, potranno avere a disposizione le loro crocchette preferite, quelle che li aiuteranno a crescere sani e in forma. Potrai andare a risparmiare sui tuoi acquisti ripiegando sulle confezioni con formato grande, quelle che più spesso vengono vendute con interessanti promozioni. Da Miscota ci sono anche alimenti per cani anziani o che soffrono di patologie, che ti obbligheranno ad acquistare per loro solo prodotti specifici, che per te potrebbe essere un problema andare a trovare in commercio.

Non ti preoccupare, Miscota, spedisce i suoi prodotti a domicilio ovunque e se supererai una certa cifra queste per te saranno gratuite. Oltre che ai prodotti secchi, in questo shop online troverai un gran numero di alimenti umidi, che si vanno ad articolare in base al fatto che siano prodotti per cani con patologie, diabetici ad esempio, o che si tratti di prodotti per cuccioli, ma che si diversificano anche in base alla taglia dell’animale, infatti come ben sai il fabbisogno nutrizionale di un barboncino è ben diverso rispetto a quello di un cane di grossa taglia.

I gusti dei prodotti che troverai disponibili sono vari, si va dal pollo, al manzo al salmone, per accontentare tutti i gusti, sia dei cani, ma anche dei padroni che ci tengano al fatto che il loro animale abbia un regime alimentare completo, che non gli faccia mancare nessun tipo di nutriente. Una categoria particolare di alimenti per cani sono gli snack, che ovviamente non potevano non mancare sullo shop online.

Nel caso tu dovessi avere dei dubbi circa un prodotto, tra quelli disponibili nello shop, che non conosci, ma che vorresti far provare al tuo cane, puoi chiedere consiglio al team di esperti della Miscota, che risponderanno ad ogni tuo dubbio, oppure dare uno sguardo ai feedback lasciati dai clienti che hanno già provato il prodotto in questione. Non aspettare ancora altro tempo ed inizia il tuo shop tra i prodotti per cani disponibili nello shop online MIscota.

SARDEGNA: ALLA SCOPERTA DELLA FORESTA DI MONTARBU

FORESTA DI MONTARBUEstesa per oltre duemilaottocento ettari alla falde dei monti Montarbu e del Tonneri, la foresta di Montarbu è una tra le più belle –e miglior conservate- foreste della Sardegna. Caratterizzata dalla sua parte centrale formata da un altopiano calcareo posto a mille metri s.l.m., la foresta di Montarbu vede la presenza di diversi tacchi calcarei che imprimono sul territorio la particolarità di profonde pareti verticali che sono solcate da corsi d’acqua del Flumendosa e da molte sorgenti che originano della cascate che si insinuano nel verde della vegetazione presente la cui più caratteristica risulta essere la cascata di Middai.
Gli amanti della natura potranno notare come la morfologia presente e la ricchissima vegetazione hanno reso questo luogo un importante centro naturalistico-ambientale che è stato intelligentemente protette e che ha salvaguardato flora e fauna del luogo che, con l’andar del tempo, ha guadagnato una propria valenza.

Cosa esplorare in una giornata dedicata ad una escursione alla scoperta della foresta

Chi soggiorna in Costa Rei presso liGV Club Santagiusta, oltre a godere pienamente di un villaggio che più che essere una semplice struttura turistica risulta essere un prezioso Resort ricco di attrattive dove trascorrere una vacanza all’insegna del relax e del divertimento, può decidersi di effettuare una escursione alla scoperta della foresta di Montarbu.
L’area nella quale si sviluppa la zona protetta, annovera sia territori di alto interesse naturalistico che archeologico come, ad esempio, la falesia calcarea del Tonneri che termina nella imponente cima del Margiani Pubusa a 1324 metri o l’area archeologica di S’Orgioloniga dove è possibile ammirare un insediamento nuragico caratterizzato dal nuraghe di Analù e dei resti di una fonte sacra.

Una giornata dedicata al trekking regalerà l’occasione per addentrarsi all’interno di una vegetazione che si differenzia a seconda dell’esposizione e dell’altitudine. E’ possibile trovare nelle parti più fresche, carpini neri, agrifogli e lecci mentre, quasi alla sommità della vetta, la boscaglia offre lecci accompagnati da conifere, gariga, ginepro nano e timo. Diversa la flora che si trova più a valle e che vede la presenza del corbezzolo, del lentisco e dell’erica e di tutte quelle piante che costituiscono la classica vegetazione mediterranea.
Come prima indicato, la foresta è ricca di corsi d’acqua che nascono da fonti di origine calcarea le cui più importanti sono la Funtana Dorada, Middai, Nuletta, Is Medduris, la Funtana d’Oro ed altri ancora.

Notevole è anche il ricco patrimonio faunistico che è stato foriero della volontà da parte delle pubbliche Istituzioni di trasformare questo territorio, Oasi di protezione faunistica a partire dal 1980. In questo ambiente protetto vive il muflone che è possibile incontrare in branco mentre pascola. Il raro gatto selvatico è anch’esso presente in questa zona che è molto apprezzata da parte di tutti gli appassionati di Birdwatching per via delle numerose specie che è possibile osservare. Infatti la foresta è una splendida location per il falco pellegrino, lo sparviero, la poiana, il grifone, l’astore, il nibbio, l’avvoltoio monaco, l’avvoltoio degli agnell, l’aquila del Bonelli e l’aquila reale.

Una divertente pausa

La foresta di Montarbu la si può considerare come una interessante opportunità tutta da esplorare per spezzare una vacanza balneare che si sta trascorrendo a Costa Rei.
Dopo tante attività legate al mare e dopo aver consumato giorni di pigro relax, poter fare un poco di moto immersi nella natura è certamente divertente e si può considerare una vacanza nella vacanza.
La soddisfazione di ammirare il più famoso monumento vegetale rappresentato da un leccio detto s’Ilixi ‘e Canali che si trova all’esterno della foresta verso il confine formato dal Riu Su Canali nella parte occidentale della stessa, è qualcosa che rimane indelebilmente segnata nella memoria.

I molteplici impieghi dei droni professionali in campo naturale

I droni professionali vengono utilizzati anche in agricoltura e nella ricerca scientifica. L’importanza dei droni professionali in agricoltura cresce giorno dopo giorno.

I droni professionali vengono utilizzati in questo caso per la misurazione dei terreni agricoli e le recinzioni, ma si utilizzano i droni professionali anche per monitorare il terreno, per verificare la presenza di parassiti o infestazioni di vario tipo. Questo tipo di ispezioni senza l’utilizzo dei droni professionali vengono effettuate manualmente, richiedono molto tempo e non sempre sono precise. L’utilizzo dei droni professionali dunque consente ancora una volta di risparmiare tempo e di garantire maggior precisione. Un altro campo in cui vengono utilizzati sempre più i droni professionali è quello del precision farming, dove vengono spesso utilizzati nella lotta biologica ai parassiti.

I droni professionali sono in grado di spargere sui campi alcune piccole capsule di cellusa nelle quali sono contenute le uova di piccoli insetti che contrastano i parassiti dannosi. Gli agricoltori utilizzano i droni professionali per aumentare la produttività e ridurre i danni alle produzioni.

Grazie ai droni professionali è inoltre possibile risparmiare acqua e fertilizzanti. Oltre all’agricoltura anche le operazioni di conservazione scientifica possono beneficiare dell’utilizzo dei droni professionali. In questo caso i droni professionali vengono utilizzati per monitorare la presenza di animali in un determinato habitat naturale, monitorale lo stato di alcune foreste o ancora controllare la presenza di bracconieri e, in questo modo, combattere la criminalità. Questo è possibile anche perché i droni professionali sono dotati di sistemi termografici e telecamere ad infrarossi a visione notturna. Ma i droni professionali possono essere utilizzati anche nel settore meteorologico.

Grazie ai loro sofisticati sistemi sarà possibile a breve misurare la bassa atmosfera per il monitoraggio precoce e l’allerta meteo tramite i droni professionali. I migliori droni professionali per l’agricoltura e la ricerca scientifica sono dotati di sistemi di guida GPS e sono dunque in grado di volare in maniera autonoma per 40 minuti. Questi droni professionali di telecamere professionali multispettrali e telecamere termiche ad altissima risoluzione. Le immagini e i video realizzati con i droni professionali vengono trasmesse direttamente a terra.

Durante il volo dei droni professionali gli operatori hanno la possibilità di controllare in tempo reale l’inquadratura della telecamera direttamente sul monitor wireless. In alcuni casi i droni professionali sono dotati anche di una seconda telecamera a colori che consente agli operatori di individuare la zona indicata con maggior facilità. Ormai l’utilizzo di droni professionali per la ricerca scientifica e l’archeologia è sempre più diffuso. Grazie ai droni professionali e alle telecamere termiche e multispettrali è possibile ottenere delle mappature di altissima qualità e di precisione centimetrica, grazie alle quali è possibile ricostruire immagini tridimensionali di siti archeologici, monumenti e rovine.

I sistemi GPS e la groundstation consente a questi droni professionali di volare autonomamente su percorsi programmati. Per poter utilizzare i droni professionali è necessario essere regolarmente registrati ed avere la certificazione ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile).

Lo Zoo di Google: Panda, Penguin, Hummingbird

Siamo nel 2015 e anche per un ente come Comitato Parchi, attivo su questo fronte, diviene fondamentale saper comprendere e adeguarsi alle dinamiche del web. Una rete che, come scoprirete in questo articolo, è fatta anch’essa di animali come Madre Natura. Eh sì, perchè Google, Re indiscusso della “Foresta”, ha preso come simbolo delle sue direttive alcuni dei nostri simpatici amici che, per webmaster e professionisti del settore si sono però rivelati spesso dei veri e propri incubi. Andiamo insieme a scoprirli e vedere come districarsi all’interno del Google-Zoo.

Panda, Penguin e Hummingbird: gli animali algoritmi

algoritmi di google
Un Panda, un Pinguino e un Colibrì comandano a Mountain View

Lo Zoo di Google è composto da Panda, Penguin, Hummingbird, ma non stiamo parlando di simpatici animaletti, bensì di algoritmi, i meccanismi che determinano come un sito web dev’essere posizionato con le parole chiave che gli pertengono sui risultati appunto di Google. Aggiornamenti che vengono rilasciati per offrire agli internauti un’esperienza di ricerca e navigazione migliore.
Oggi più che mai, chi possiede un sito o un blog ha l’esigenza di posizionarsi primo nei motori di ricerca. Per farlo occorre diventare “animalisti”? Se la mettiamo in questi termini, a quanto pare sì! Google, il numero uno dei motori di ricerca, utilizza un panda, un pinguino e un colibrì per decidere chi mostrare prima nei risultati quando un utente fa una ricerca. Non a caso, proprio Panda, Penguin ed Hummingbird sono i tre nomi degli algoritmi che determinano l’ordine di visualizzazione nelle SERP (search engine result page) di Google. E’ di fatti fondamentale imparare a conoscerli per capire cosa fanno e come “addomesticarli”.

Panda: occhio ai contenuti

Iniziamo da Google Panda, che dà il nome al primo algoritmo, introdotto da Google nel 2011, che ad oggi, ha subito diversi aggiornamenti. Google Panda fu creato all’epoca per “marginare” un problema molto diffuso: la copia dei contenuti. Succedeva che “webmaster” e “blogger”, invece di creare contenuti unici ed originali, utilizzavano il copia ed incolla duplicando i contenuti di altri siti e blog. Allo stesso modo, e nello stesso periodo, nascevano ogni giorno centinaia e migliaia di aggregatori, ovvero, portali che in maniera del tutto automatica, attingevano articoli da alcuni blog, copiando interamente il contenuto e riproponendolo come “nuovo ed originale”. Ecco perchè Google, con lo scopo di migliorare i risultati delle ricerche, ha studiato l’algoritmo capace di far precipitare nelle serp i siti contenenti esclusivamente materiale copiato che risultava privo di qualità.
Sconfiggere il Panda non è affatto semplice, spesso può richiedere mesi di lavoro e diversi tentativi: Michael Vittori, esperto SEO del settore, ci è riuscito e ha raccontato come in questo articolo.

Penguin: a caccia dei link scomodi

Google Penguin, venne introdotto un anno più tardi rispetto a Google Panda, esattamente nell’aprile dell’anno 2012. Escogitato per colpire tutti coloro che esagerano “sovraottimizzando” le proprie pagine. L’algoritmo è preposto per scoraggiare tutte le tecniche di black hat, pratiche scorrette per posizionare al meglio i blog od i siti tra i risultati di ricerca. Google Penguin, ha il compito di analizzare i link e gli anchor text (ossia il testo linkato) penalizzando chi ne abusa, facendo di fatto SPAM.

Hummingbird, il colibrì intelligente

Google Hummingbird, (il colibrì), ha preso il volo nell’Agosto del 2013. L’algoritmo fu introdotto da BigG  con lo scopo di rendere migliore la visualizzazione dei risultati di ricerca. In questo modo, se ad esempio si cerca “Cosa trasmette domani sera Canale 5?”, grazie ad Hummingbird, si potrà visualizzare la programmazione, direttamente tra i risultati di ricerca, senza dover effettuare click successivi, questo perchè la domanda riceve una risposta.  Search Engine Land, celebre rivista online statunitense, spiega nel dettaglio il funzionamento di Hummingbird in questo post.

Le linee di condotta corrette

Al fine di non essere penalizzati dagli algoritmi Google, occorre realizzare contenuti originali di qualità, e soprattutto non serve cercare metodi facili e “furbi” per posizionarsi sui motori di ricerca. Di fatto, il fine ultimo di Google e dei suoi algoritmi è quello di fornire all’utente il migliore risultato, consono alla sua query di ricerca.

Il decalogo dell’Albero

albero1 – Osserva l’albero, testimone della memoria
L’albero antico custodisce in sè le radici della storia e può narrare le vicende più remote. Nessun altro essere vivente eguaglia lontanamente la sua età: che in qualche caso, come quello del Pino longevo della California, detto Matusalemme, può aggirarsi intorno ai 5.000 anni.
2 – Onora l’albero, padre della spiritualità
Presso tutti i popoli semplici e primitivi l’albero è sacro, e come narra Plinio il Vecchio “le foreste furono i templi delle divinità”. Ed infatti le prime colonne di questi templi non erano costruite da blocchi di marmo, ma da autentici tronchi giganteschi di Cipresso di Creta e di Cedro del Libano.
3 – Rispetta l’albero, radice dei miti
Nei tempi più remoti, si credeva che l’origine del mondo fosse collegata all’albero cosmico, un albero straordinario ed immenso, con chioma espansa e forte, che costituiva l’asse dell’Universo ed univa il mondo degli abissi sotterranei, esplorati da radici possenti, al cielo più alto e alla stessa divinità.
Ancor oggi molti popoli primitivi, come gli indios amazzonici, ritengono che i grandi alberi della foresta tropicale pluviale sostengano la volta celeste, e che il cielo crollerà il giorno in cui questi alberi verranno abbattuti.
4 – Ammira l’albero, fonte di ispirazione
Dalla contemplazione dello splendore e della varietà degli alberi scaturisce la scoperta e l’apprezzamento per l’armonia e la bellezza del mondo. Ogni albero racchiude una storia, un mistero, una sorpresa per la mente e il cuore dell’uomo che sappia penetrare oltre la sua scorza. Ed offre equilibrio e creatività a quanti si avvicinino ad esso con occhio giovane, libero e aperto.
5 – Conserva l’albero, casa degli animali
L’albero è anche l’insostituibile dimora segreta per mille creature di tutte le specie, animali grandi e piccoli, familiari e sconosciuti, che vi trovano cibo, tana e rifugio.
Soprattutto i grandi alberi plurisecolari, nella fase finale del loro ciclo vitale, e lo stesso legno morto che ne deriva, offrono l’ambiente ideale per la riproduzione di una biodiversità tanto rara, quanto ricca e preziosa, essenziale per il funzionamento e la stabilità degli ecosistemi.
6 – Tutela l’albero, custode del suolo
Un grande albero sano, in un bosco ben conservato, può assorbire con la sua chioma metà della pioggia, restituendo poi gradualmente l’acqua raccolta, sotto forma di vapore acqueo. Ma anche la pioggia che raggiunge e penetra il suolo vi arriva sapientemente dosata e smorzata, senza quella terribile forza dinamica di erosione che, sui suoli denudati, ha creato nel nostro Paese la piaga di frane, alluvioni, smottamenti e dissesto idrogeologico.
7 – Proteggi l’albero, sorgente di forza e di vita
Ogni albero sprigiona colori inarrivabili, suoni indecifrabili e profumi sconosciuti in ogni ora del giorno e della notte, e nelle varie stagioni. Ed anche dopo la morte, i rami caduti, i tronchi in disfacimento e i ceppi marcescenti offrono asilo e nutrimento alla più varia, ricca e preziosa microfauna e microflora: una straordinaria comunità vivente, dalla quale dipendono la fertilità del suolo e gli equilibri dell’ecosistema.
8 – Difendi l’albero, purificatore dell’aria
Un albero grande e bello costituisce un patrimonio insostituibile: tagliarlo quand’è maturo, sostituendolo con un giovane germoglio, non garantisce affatto la compensazione di tutti i servizi ecologici perduti. La superficie fogliare di un albero appena piantato è infatti di circa un metro quadrato, vale a dire oltre mille volte inferiore a quella d’un albero adulto.
9 – Apprezza l’albero, sorgente di benessere e di felicità
L’albero offre generosamente molti ecoservizi inestimabili per l’umanità, tra cui in primo luogo un’efficace azione di climatizzazione soprattutto nei periodi più caldi ed afosi, donando ombra fresca e ristoro, riducendo la temperatura ed
aumentando l’umidità. Lo stesso albero può inoltre smorzare fino a metà la velocità del vento, attenuando sensibilmente anche tutti i fastidiosi rumori circostanti.
10 – Godi dell’albero e dei suoi doni preziosi
L’albero può offrire risorse materiali inestimabili – legno, rami e fogliame, frutti, bacche e radici – ricche di utilità molteplici per la vita dell’uomo: da sfruttare però con misura e saggezza, raccogliendo sì i frutti e le altre risorse rinnovabili, ma senza mai impoverire né intaccare il basilare patrimonio che le produce.

Operazione San Francesco

Perseguitato e diffamato, braccato e sterminato come nessun altro animale al mondo, simbolo del “male” per eccellenza fino al secolo scorso, questo forte predatore sta ora riconquistando, poco a poco, i propri territori… Ma anziché gridare “Al lupo! Al lupo!” molti giovani e meno giovani accorrono oggi alla montagna per vederlo, fotografarlo, scoprirne le tracce o udirne l’ululato. E’ morta ormai la leggenda del “lupo cattivo”, è nato il fascino del fiero lupo ultimo “custode” della natura inviolata.

1.- La favola del lupo cattivo

san-francescoTutti conoscono le favole di Cappuccetto Rosso e dei Tre Porcellini alle prese con Ezechiele “lupo cattivo” , ma al giorno d’oggi non è facile immaginare quale fosse davvero, nei tempi passati, la percezione di questo splendido animale nell’immaginario collettivo. L’incarnazione stessa del male, un nemico assoluto non solo da combattere, ma da distruggere completamente, un demonio da cancellare dalla faccia della terra. Ne dava chiara testimonianza nell’anno 1863 il forestale naturalista Adolfo Di Bérenger narrando che “una legge di Carseoli, città della Sabina (l’odierna Carsoli) vietava persino pronunciare il nome del lupo, tanto erano infesti alle campagne e aborriti”.
Fino a mezzo secolo fa, bastava aver notizia di qualche avvistamento di lupi nelle campagne intorno al villaggio per armarsi, e partire tutti insieme per la “battuta”, con in testa parroco, sindaco e maresciallo dei carabinieri. Tagliole e bocconi avvelenati si sprecavano, i premi per gli eroici sparatori non mancavano, e la rituale foto di gruppo accanto alle spoglie dell’animale massacrato coronava la parte finale dell’impresa. Anche in precedenza, uno dei mestieri più rispettati era stato quello del “luparo”, che ispirò storie, leggende e persino il film “Uomini e lupi”.
Lanciare una campagna in difesa del lupo in quella situazione poteva sembrare pura follia. A nulla valeva cercare di spiegare che si trattava di un essere vivente che non avevamo alcun diritto di condannare senza appello, di un animale in pericolo, di un essenziale elemento per l’equilibrio naturale. Ma nonostante tutto, ideammo e lanciammo una nuova strategia: l’Operazione San Francesco. Una campagna ecosociologica vivace, che in breve conquistò il cuore e la mente della gente, dilagando in modo incontenibile. Ci furono d’aiuto la figura del Santo Patrono degli Italiani, e naturalmente anche la storia di Romolo e Remo allattati da una lupa sulle sponde del Tevere.

2.- Morte di una leggenda

Il segreto del successo fu tutto nello spirito innovativo, nella forza delle idee, nel superamento delle barriere convenzionali e nella rivelazione della verità e della bellezza della natura accanto a noi. Ma scaturì anche dall’immediatezza con cui ogni decisione, annuncio, impegno o promessa si traduceva subito in tangibile realtà. Già dal 1970 il Parco Nazionale d’Abruzzo aveva promosso l’Operazione San Francesco, diffondendo una splendida foto del Lupo appenninico accompagnata da un semplice detto dei pellerosse americani: “Con tutti gli esseri, e con tutte le cose noi saremo fratelli”. L’anno successivo la campagna veniva lanciata ufficialmente, in collaborazione con il giovane WWF Italia: ma fu poi nel 1973 che essa prese maggior forza e consistenza, grazie alla fortunata convergenza di alcuni eventi di grande rilievo.
Fu infatti in quell’anno che in un piccolo e semisconosciuto paesino montano dell’Abruzzo il Parco creò un Centro di Visita dedicato al Lupo appenninico con annessa Area Faunistica, senza costruire nulla ma ristrutturando una vecchia stalla e affittando i terreni circostanti. E così attrasse immediatamente flussi di visitatori, naturalisti e curiosi, perchè nessuno sapeva davvero, all’epoca, come fosse fatto un lupo, nè lo aveva mai fotografato da vicino: e ben pochi erano consapevoli di quale fosse la vita di un branco del carnivoro tanto temuto. L’unica fonte di informazione, infatti, erano allora le iperboliche copertine della Domenica del Corriere, raffiguranti spietati attacchi ai poveri viandanti da parte di interminabili branchi di famelici lupi completamente neri.
Al tempo stesso, giungeva in Europa lo studioso canadese Douglas Pimlott, in missione speciale di riabilitazione del lupo per incarico dell’UICN (Unione Mondiale per la Natura). La sua tappa in Italia fu proprio nel Parco d’Abruzzo, con un memorabile incontro affollato di esperti e giornalisti, aperto con registrazioni di ululati e concluso con la proiezione dello splendido film “Morte di una leggenda”. Che faceva giustizia delle storie sul lupo cattivo, incantava con gli scenari del Grande Nord ancora selvaggio, commuoveva con le riprese di mamma lupa e dei suoi cuccioli. Proiettato poi dal nascente Gruppo Lupo in ogni parte d’Italia, applaudito da migliaia di persone di ogni età ed estrazione culturale, avrebbe avuto un effetto straordinario sull’opinione pubblica italiana.
Nel frattempo WWF e Parco avevano deciso anche di promuovere una ricerca sul Lupo appenninico, chiamando in Italia alcuni dei maggiori esperti, tra cui lo statunitense David Mech e lo svedese Erik Zimen, che avrebbero formato un gruppo di giovani operatori italiani, tra cui il biologo Luigi Boitani. Grazie all’appoggio del nuovo Centro Studi Ecologici Appenninici, che il Parco aveva costituito l’anno precedente, venne condotta così la prima indagine radiotelemetrica in Italia (con 3 lupi seguiti a distanza grazie a speciali collari), una delle primissime anche a livello europeo.
Non fu quindi per caso che proprio nel 1973 venne emanato dal Ministro dell’Agricoltura e Foreste Lorenzo Natali un primo decreto temporaneo per la protezione triennale del lupo, che poi fu reso definitivo nel 1976 ad opera del suo successore Giovanni Marcora. Ma la reazione dei nemici del lupo non si fece attendere: e fu ben presto diffusa la voce che questi animali stessero ritornando in numero nell’Appennino perchè importati dalla Siberia, trasportati con aerei ed elicotteri e magari poi lanciati con il paracadute. Una leggenda metropolitana ovviamente falsa, ma assai dura a morire. Cercare testimoni oculari dei fantomatici lanci sarebbe stato tempo perso, perchè ciascuno riferiva d’aver appreso questa storia da altre persone. Ma come si sa, proprio le storie assurde sono le più dure a morire.

3.- Il Lupo appenninico valica le frontiere

valicaMentre l’Operazione San Francesco si prodigava in conferenze, proiezioni e manifestazioni in difesa del predatore, risvegliando una pubblica opinione distratta e sonnolenta, il Lupo appenninico si consolidava nel Mezzogiorno d’Italia: e dall’Appennino Centrale iniziava la sua tenace risalita verso Nord, raggiungendo nel 1987 le Alpi Marittime e finalmente valicando la frontiera con la Francia. “Bonne nouvelle, le loup revient!” titolava un ampio servizio del più autorevole settimanale francese, L’Express: buone nuove, il lupo ritorna… Eh sì, perchè un animale estinto da decenni, che torna a stabilirsi tra le montagne prospicienti la Costa Azzurra, non è una notizia da poco. Significa davvero che si tratta di valli, foreste e alte praterie di qualità ecologica eccezionale, vuol dire che anche quando la natura sembra agonizzante può sempre riprendersi.
La sua corsa alla riconquista degli antichi territori non trovò ostacoli, riuscendo a superare – magari dopo ripetuti tentativi – autostrade e fiumi, zone abitate e lande desolate.  Così il lupo, dopo mezzo secolo e oltre, si è di nuovo stabilito al Gargano e in Aspromonte, nei Monti della Tolfa e in Maremma, e poi via via lungo la catena alpina, da Occidente a Oriente, sconfinando in Svizzera e trovando di proprio gradimento anche il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia, dove sono stati già registrati i primi avvistamenti e certo l’ambiente appare per molti aspetti ideale.
Ma è proprio nelle Alpi Orientali che si delinea un fatto nuovo e inatteso: perchè secondo attendibili segnalazioni qui sarebbero in arrivo anche i lupi provenienti da Est, appartenenti quindi alla forma nordica europea, che presenta molte caratteristiche diverse, è più chiara e robusta, ha pelo più folto. Cosa accadrà allora: si troveranno in conflitto dividendosi il territorio, o punteranno verso una progressiva integrazione? Anche se certi “specialisti” sembrano ignorarlo, o volerlo dimenticare, sicuramente il Lupo appenninico (Canis lupus italicus), descritto nel lontano 1926 dal medico molisano Giuseppe Altobello, costituisce un’ottima sottospecie meridionale, ben distinta anche sul piano genetico.
A distanza di quarant’anni esatti dal lancio dell’Operazione San Francesco, è tempo di tracciarne un bilancio: e non vi è dubbio che le vada riconosciuto un successo senza eguali. Anzitutto, i lupi in Italia sono aumentati, forse decuplicati, ma nessuno dei disastri paventati o annunciati si è mai verificato. Non vi sono stati attacchi all’uomo, mandrie e greggi ben custodite hanno evitato aggressioni, e generalmente i danni al bestiame domestico sono rimasti contenuti entro limiti fisiologici (e oggi finalmente tutti ammettono che debbano essere prontamente indennizzati). Si è dovuto constatare che in molti casi più gravi il colpevole è il cane vagante, randagio o inselvatichito (fatto incontestabile nelle isole, dove di lupi non esiste neppure l’ombra). Nella sua espansione, il lupo sta modificando le proprie abitudini: e preda oggi nella maggior parte dei casi animali non domestici, ma selvatici, anche in rapporto al grande incremento di cinghiali, caprioli e daini. In questo modo un branco di lupi ben legato al proprio territorio vi esercita in modo equilibrato tutte le proprie funzioni: contenimento dell’eccessiva espansione degli ungulati, loro oculata selezione naturale e continuo spostamento delle prede da un pascolo all’altro.

4.- IL futuro del Lupo in Europa

biancaE´giusto allora concludere che in futuro uomo e lupo potranno convivere pacificamente? In certo modo questo già avviene, benchè ovviamente non manchino episodi di più o meno aperta conflittualità. L’incremento della popolazione di lupi in Italia troverà un limite nelle stesse leggi naturali, o dovrà essere contenuto in qualche modo dall’uomo? E in tal caso, con quali metodi? Sarebbe giustificato procedere a parziali abbattimenti, o a tentativi locali di “rapida eradicazione dalle zone non vocate”, magari attraverso procedure cervellotiche e protocolli arbitrari, come vanno predicando da tempo alcuni pseudo-esperti del settore? Contro tali sistemi, per fortuna, si è levata quasi unanime la riprovazione del mondo ambietalista: ma non v’è dubbio che di tanto in tanto proposte del genere possano riemergere, perchè celano interessi ben diversi e più ampi della semplice difesa degli allevamenti e della pastorizia. Un esempio concreto e recentissimo viene anche dalla civilissima Svezia, dove il lupo non è davvero troppo numeroso: ma le insistenze degli allevatori, e soprattutto dei cacciatori, si erano fatte assordanti. Allora le autorità, cedendo alle richieste per un malinteso senso di democrazia, hanno autorizzato l’abbattimento di alcune decine di lupi nordici, prontamente eseguito dai fucilieri. Un intervento che ovviamente non ha prodotto alcun altro risultato se non molto spargimento di sangue, qualche guadagno per ricercatori trasformisti, e soddisfazione alle brame di sparatori in crisi di astinenza. A denunciarlo pubblicamente sono stati i veri ambientalisti, che hanno sfilato lungo le strade principali di Stoccolma in un funerale immaginario, con altrettante bare quanti erano stati i lupi uccisi. Per risolvere il problema della convivenza tra uomo e lupo, un metodo efficace invece esiste davvero, ed è stato sperimentato proprio in Abruzzo, grazie all’attiva collaborazione di allevatori, pastori e naturalisti: si tratta del Progetto Arma Bianca, che vede nell’impiego del cane da pastore abruzzese il miglior rimedio possibile. Perchè questo mastino fedele e coraggioso si sente “fratello” delle pecore, percepisce il pericolo in arrivo e lancia al “nemico” segnali di avvertimento, che nella maggior parte dei casi funzionano da efficace deterrente. Al branco di lupi converrà allora evitare lunghe e rischiose battaglie, cercando invece tutt’intorno qualche preda selvatica più accessibile. In questo modo, si salvano non solo la pecora e il pastore, ma anche il formaggio di montagna e il lupo stesso: senza dimenticare questa magnifica razza di cani da gregge, addestrati fin dall’epoca dei Sanniti. Una prova in più del fatto che, per prevenire devastanti conflitti, è sempre meglio non premere alcun grilletto, ma  ricorrere piuttosto all’arma pacifica della prevenzione e della collaborazione. La storia del Lupo appenninico e dell’Operazione San Francesco insegna quindi molte cose, e rappresenta anche il simbolo di un’Europa unita e pacifica, che non conosce frontiere. E’ stato infatti lui, prima ancora dei trattati di Schengen per la libera circolazione dei cittadini europei, a insegnarci che è possibile valicare montagne, superare frontiere e unire terre e popoli diversi, portando un vivo messaggio di speranza e di riconciliazione tra l’uomo e la natura.

di Franco Tassi

Un altro orso marsicano ucciso

orso marsicanoQuesta volta i bracconieri non si sono accontentati di assassinarlo, ma lo hanno anche seppellito, ricoprendo la fossa di terra e calce per non farlo scoprire: l’uccisione dell’orso risale a mesi fa, ma a quanto pare nessuno se ne era accorto. E ancora una volta, è stata scoperta per caso, perché strani odori provenienti dal suolo spingevano gli animali selvatici a scavare proprio in quel punto. Con questa ennesima vittima innocente, secondo il Gruppo Orso i plantigradi perduti nell’ultimo decennio sarebbero ormai circa una trentina.

La notizia non meriterebbe commenti, se non che ai proclami trionfalistici di studiosi e responsabili non corrisponde nei fatti che una lunga serie di annunci funebri. Ed è ridicolo cercare di sostenere che l’orso sia ben protetto, che muoia per cause naturali, o che già dal secolo scorso risultasse ridotto ai minimi termini… Oppure far credere che la situazione sia sempre stata così drammatica, manipolando le statistiche per confondere le idee. Sarebbe invece il caso di dire finalmente la verità, adottando le misure da tempo sollecitate dal Gruppo Orso e rispondendo a poche semplici, essenziali domande (si veda l’accluso Decalogo).

Anzitutto, non va taciuto che ogni morte di orso scatena grandi assicurazioni e promesse, cui non seguono poi effetti pratici. I colpevoli non sono mai individuati e puniti, non intervengono efficaci strategie di contrasto, e non si rivela neppure se l’orso morto faceva parte o meno di quelli già censiti. Intanto fuoristrada, motocross e cani dilagano, imperversa il bracconaggio, continua l’invasione delle “vacche sacre”: e come per incanto, spuntano qua e là anche esche avvelenate  di ogni tipo. Si finanziano autorevoli ricerche scientifiche che si protraggono per tempi biblici, ma nessuno indaga su costi e risultati.

La confusione regna sovrana, soprattutto sul numero degli orsi. Nel giro di pochi anni, il valzer delle cifre ha danzato da 20 a 30, poi tra 40 e 50, senza mai rivelare che questo dinamico censimento investe soltanto una parte del territorio frequentato dal plantigrado. Infatti  altri orsi vengono intanto segnalati, osservati e fotografati nei Parchi e nelle Riserve circostanti: in Abruzzo, Lazio e Molise, e perfino nelle lontane Marche. Negli ultimi tempi, le autorità si sono spinte ad ammettere che l’orso marsicano potrebbe oggi contare 70 individui, e oltre. Ma nessuno confessa quanti individui siano stati davvero perduti nell’ultimo decennio (una trentina circa, secondo gli osservatori più attenti): forse perché questo dimostrerebbe chiaramente che le poco dispendiose stime ufficiali dell’inizio del nuovo millennio, le quali valutavano la consistenza della popolazione appenninica a circa un centinaio di esemplari, erano più che fondate.

Comitato Parchi Nazionali
Gruppo Orso Italia
Roma, 23/4/2011

Alla salvezza dell’orso marsicano

Da molti anni il Gruppo Orso raccomanda, spesso inascoltato, di adottare rimedi concreti per sottrarre all’estinzione l’Orso marsicano (Ursus arctos marsicanus), senza dubbio l’animale più importante, amato e minacciato della fauna italiana.
Ecco, in sintesi, i dieci “comandamenti” che potrebbero assicurargli un futuro migliore.

1.- Rilanciare l’immagine dell’Orso, simbolo della Marsica e dell’Abruzzo in Italia e nel mondo.
2.- Divulgare la sua straordinaria storia, realtà e lotta per la vita nelle scuole, nelle organizzazioni culturali e turistiche, negli ambienti giornalistici, accademici e politici.
3.- Rafforzare il presidio del territorio con ampliamento della tutela, miglioramento della sorveglianza, volontariato nazionale e internazionale, massimo coinvolgimento generale.
4.- Ripristinare quella campagna alimentare che per un lungo periodo (1969-2001) aveva offerto risorse naturali, fungendo anche da ammortizzatore sociale per i coltivatori locali.
5.- Evitare tagli forestali di tipo industriale che diradino il bosco e aprano varchi di accesso verso zone remote, frequentate e abitate dal plantigrado.
6.- Mantenere la pastorizia ovina tradizionale nelle aree consentite, ma precludere l’invasione di mandrie bovine esterne, per evitare conflitti con i grandi predatori.
7.- Pur incoraggiando la ricerca scientifica, escludere interventi “invasivi” come ripetute catture, uso eccessivo di radiocollari, disseminazione di esche olfattive.
8.- Render note in modo completo e trasparente le perdite di orsi dell’ultimo decennio, per individuarne, comprenderne e contrastarne le vere cause.
9.- Ristabilire, in luogo del costoso “censimento” su parte dell’areale, un semplice ma efficace metodo di “stima” globale, che abbracci l’intero territorio abitato dall’orso.
10.- Rilanciare il progetto di riproduzione in siti riservati, con madre e cuccioli insieme nel periodo delle cure parentali, e successivo “ricondizionamento” dei giovani alla vita selvatica.

Fin dagli anni Settanta, il Parco Nazionale d’Abruzzo è stato all’avanguardia nella ricerca scientifica su Orso, Lupo, Lince, Camoscio d’Abruzzo e Biodiversità, promuovendo tra i primi in Europa indagini approfondite sui grandi predatori e strategie vincenti per la loro salvaguardia: basterebbe ricordare ad esempio le Operazioni San Francesco per il Lupo appenninico e Gattopardo per la Lince, nonchè le numerose Campagne in difesa dell’Orso marsicano.

Salvare l’Orso marsicano significa, anzitutto, rivalutare la cultura della convivenza: amare questo eremita vagabondo, infatti, non vuol dire spiarlo, braccarlo, nutrirlo, ma rispettarlo e proteggere la sua dimora, difendendo la pace e il silenzio delle montagne, e l’atmosfera selvaggia delle ultime selve vetuste. Vuol dire insomma saperne cogliere le presenza da mille tracce e indizi, magari osservandolo talvolta da lontano per brevi attimi, e trattenendo il respiro. Consiste nell’essere comunque felici per il solo fatto di sapere che lui, l’ultimo custode di un prezioso mondo altrove scomparso, ancora esiste vive e respira non lontano da noi.