Questa volta i bracconieri non si sono accontentati di assassinarlo, ma lo hanno anche seppellito, ricoprendo la fossa di terra e calce per non farlo scoprire: l’uccisione dell’orso risale a mesi fa, ma a quanto pare nessuno se ne era accorto. E ancora una volta, è stata scoperta per caso, perché strani odori provenienti dal suolo spingevano gli animali selvatici a scavare proprio in quel punto. Con questa ennesima vittima innocente, secondo il Gruppo Orso i plantigradi perduti nell’ultimo decennio sarebbero ormai circa una trentina.
La notizia non meriterebbe commenti, se non che ai proclami trionfalistici di studiosi e responsabili non corrisponde nei fatti che una lunga serie di annunci funebri. Ed è ridicolo cercare di sostenere che l’orso sia ben protetto, che muoia per cause naturali, o che già dal secolo scorso risultasse ridotto ai minimi termini… Oppure far credere che la situazione sia sempre stata così drammatica, manipolando le statistiche per confondere le idee. Sarebbe invece il caso di dire finalmente la verità, adottando le misure da tempo sollecitate dal Gruppo Orso e rispondendo a poche semplici, essenziali domande (si veda l’accluso Decalogo).
Anzitutto, non va taciuto che ogni morte di orso scatena grandi assicurazioni e promesse, cui non seguono poi effetti pratici. I colpevoli non sono mai individuati e puniti, non intervengono efficaci strategie di contrasto, e non si rivela neppure se l’orso morto faceva parte o meno di quelli già censiti. Intanto fuoristrada, motocross e cani dilagano, imperversa il bracconaggio, continua l’invasione delle “vacche sacre”: e come per incanto, spuntano qua e là anche esche avvelenate di ogni tipo. Si finanziano autorevoli ricerche scientifiche che si protraggono per tempi biblici, ma nessuno indaga su costi e risultati.
La confusione regna sovrana, soprattutto sul numero degli orsi. Nel giro di pochi anni, il valzer delle cifre ha danzato da 20 a 30, poi tra 40 e 50, senza mai rivelare che questo dinamico censimento investe soltanto una parte del territorio frequentato dal plantigrado. Infatti altri orsi vengono intanto segnalati, osservati e fotografati nei Parchi e nelle Riserve circostanti: in Abruzzo, Lazio e Molise, e perfino nelle lontane Marche. Negli ultimi tempi, le autorità si sono spinte ad ammettere che l’orso marsicano potrebbe oggi contare 70 individui, e oltre. Ma nessuno confessa quanti individui siano stati davvero perduti nell’ultimo decennio (una trentina circa, secondo gli osservatori più attenti): forse perché questo dimostrerebbe chiaramente che le poco dispendiose stime ufficiali dell’inizio del nuovo millennio, le quali valutavano la consistenza della popolazione appenninica a circa un centinaio di esemplari, erano più che fondate.
Comitato Parchi Nazionali
Gruppo Orso Italia
Roma, 23/4/2011
Alla salvezza dell’orso marsicano
Da molti anni il Gruppo Orso raccomanda, spesso inascoltato, di adottare rimedi concreti per sottrarre all’estinzione l’Orso marsicano (Ursus arctos marsicanus), senza dubbio l’animale più importante, amato e minacciato della fauna italiana.
Ecco, in sintesi, i dieci “comandamenti” che potrebbero assicurargli un futuro migliore.
1.- Rilanciare l’immagine dell’Orso, simbolo della Marsica e dell’Abruzzo in Italia e nel mondo.
2.- Divulgare la sua straordinaria storia, realtà e lotta per la vita nelle scuole, nelle organizzazioni culturali e turistiche, negli ambienti giornalistici, accademici e politici.
3.- Rafforzare il presidio del territorio con ampliamento della tutela, miglioramento della sorveglianza, volontariato nazionale e internazionale, massimo coinvolgimento generale.
4.- Ripristinare quella campagna alimentare che per un lungo periodo (1969-2001) aveva offerto risorse naturali, fungendo anche da ammortizzatore sociale per i coltivatori locali.
5.- Evitare tagli forestali di tipo industriale che diradino il bosco e aprano varchi di accesso verso zone remote, frequentate e abitate dal plantigrado.
6.- Mantenere la pastorizia ovina tradizionale nelle aree consentite, ma precludere l’invasione di mandrie bovine esterne, per evitare conflitti con i grandi predatori.
7.- Pur incoraggiando la ricerca scientifica, escludere interventi “invasivi” come ripetute catture, uso eccessivo di radiocollari, disseminazione di esche olfattive.
8.- Render note in modo completo e trasparente le perdite di orsi dell’ultimo decennio, per individuarne, comprenderne e contrastarne le vere cause.
9.- Ristabilire, in luogo del costoso “censimento” su parte dell’areale, un semplice ma efficace metodo di “stima” globale, che abbracci l’intero territorio abitato dall’orso.
10.- Rilanciare il progetto di riproduzione in siti riservati, con madre e cuccioli insieme nel periodo delle cure parentali, e successivo “ricondizionamento” dei giovani alla vita selvatica.
Fin dagli anni Settanta, il Parco Nazionale d’Abruzzo è stato all’avanguardia nella ricerca scientifica su Orso, Lupo, Lince, Camoscio d’Abruzzo e Biodiversità, promuovendo tra i primi in Europa indagini approfondite sui grandi predatori e strategie vincenti per la loro salvaguardia: basterebbe ricordare ad esempio le Operazioni San Francesco per il Lupo appenninico e Gattopardo per la Lince, nonchè le numerose Campagne in difesa dell’Orso marsicano.
Salvare l’Orso marsicano significa, anzitutto, rivalutare la cultura della convivenza: amare questo eremita vagabondo, infatti, non vuol dire spiarlo, braccarlo, nutrirlo, ma rispettarlo e proteggere la sua dimora, difendendo la pace e il silenzio delle montagne, e l’atmosfera selvaggia delle ultime selve vetuste. Vuol dire insomma saperne cogliere le presenza da mille tracce e indizi, magari osservandolo talvolta da lontano per brevi attimi, e trattenendo il respiro. Consiste nell’essere comunque felici per il solo fatto di sapere che lui, l’ultimo custode di un prezioso mondo altrove scomparso, ancora esiste vive e respira non lontano da noi.